I beni confiscati alle mafie al nord e al sud sono stati il tema centrale del terzo appuntamento, purtroppo ancora online, del progetto FENOMENALE, nato dalla collaborazione tra Liberavoce e l’Ass. Kosmoki e reso possibile grazie alla Fondazione CRC e il CSV (Centro Servizi per il volontariato).
Il camper degli Scamperstrati, che avrebbe dovuto girare la provincia di Cuneo raccontando storie di resistenza, di rinascita e di coraggio, in questa occasione ha incontrato Fabio, responsabile della comunità di Cascina Caccia a San Sebastiano da Po e Chiara, testimone della cooperativa Esperanto che ha visto nascere e presso la quale si occupa di comunicazione ed educazione.
Parliamo di beni confiscati a partire dalla legge 109 del 1996. Come ha spiegato Fabio, la legge in questione non è altro che il risultato di un lungo percorso che parte agli inizi degli anni ’90 con le stragi di Capaci e via d’Amelio che smuovono la gente e fanno nascere la voglia e la volontà di riscatto, di rivincita. Proprio in questa nuova consapevolezza nasce anche Libera con don Luigi Ciotti per dare un nome e una memoria a tutte le vittime di Mafia del nostro Paese e non solo. In questo contesto si inserisce la raccolta firme attivata nelle piazze di tutta Italia che darà vita alla legge, approvata dal Parlamento, sui beni confiscati. È una legge che nasce quattro anni dopo alle grandi stragi di mafia e strettamente connessa alla realtà di Libera.
“I beni confiscati per associazione a delinquere di stampo mafioso devono essere riutilizzati socialmente”.
In Italia la legge Rognoni-La Torre (n.646 del 1982) si era già espressa sulla confisca dei beni ai mafiosi arrestati, come pratica funzionale a togliere potere. La legge 109 del 1996 aggiunge il “riutilizzo sociale”. Nell’ottica dell’antimafia sociale, il bene deve avere una nuova vita, per mostrare come un’alternativa sia possibile, dando vita a una cultura fatta di diritti e non di privilegi, di empatia e non di violenza e di attenzione all’ambiente.
La legge del ’96 è arricchita inoltre dal lavoro di Libera e della manifestazione popolare del ’95 che ci ha regalato spazi di cittadinanza e partecipazione attiva, collettiva e comunitaria sui quali è giusto mantenere alta l’attenzione.
La legge del ’96 si concretizza qualche anno dopo, il primo bene confiscato è intitolato a Placido Rizzotto ed è del 2000 in Sicilia, dove rappresenta un grande riscatto. Diversa è la situazione del Nord dove innanzitutto serve ancora costruire una vera consapevolezza delle mafie e dove i beni hanno anche delle caratteristiche intrinseche diverse.
Una delle principali differenze tra i beni del nord e del sud è appunto l’estensione, al sud spesso hanno grandi appezzamenti di terreno mentre al nord si compongono principalmente di unità abitative. Il Piemonte e la Lombardia sono regioni ricche di aziende confiscate. Tutto questo è emblematico anche per la diversa rappresentazione delle mafie in territori diversi, al sud radicata nel territorio e al nord profondamente inserita nel tessuto economico e talvolta difficile da riconoscere.
La testimonianza di Chiara ci porta a Castel Volturno, dove ha sede la cooperativa Esperanto, e dove ci sono circa 150 beni confiscati, molti dei quali ancora totalmente abbandonati. La cooperativa, della quale si fa portavoce, è formata principalmente da terreni lontani dal centro abitato. Questo testimonia anche il modo diverso di vivere e sentire un bene da parte della collettività.
Cascina Caccia
Cascina Caccia si trova a San Sebastiano Po, in quella zona del Piemonte che è al confine tra le colline del Po e del Monferrato, in provincia di Torino ma molto vicino alla provincia di Vercelli, di Asti e al canalese. È chiaro quindi come sia in un punto strategico, vicino alle grandi città come Torino, Milano e Aosta ma in nessuna di queste e quindi poco sotto ai riflettori.
Cascina Caccia è testimone vivente di storie che si sono intrecciate, scontrate, combattute e infine saldate per sempre in un racconto che non ha né vincitori né vinti, ma solo storie di coraggio e vigliaccheria.
Tra queste ci sono storie di ndrangheta come quella della famiglia Belfiore, arrivata in Piemonte e profondamente inserita nel tessuto economico del nord Italia fino a diventare una delle famiglie più importanti di Torino e provincia.
Ci sono storie di responsabilità e di giustizia come quella di Bruno Caccia, procuratore di Torino.
“Bruno Caccia era un uomo qualunque, gli piaceva fare l’orto, giocare a tennis e ballare con sua moglie” Fabio, ora abitante della cascina, descrive così il Procuratore. “Ma il 26 giugno 1983, mentre era fuori casa fu avvicinato da una Fiat con a bordo quattro persone che scesero e gli spararono 14 colpi di pistola di cui tre in faccia. E Bruno Caccia fu lasciato così sul marciapiede sotto a casa sua”.
“Bruno Caccia era uno con cui non si poteva parlare” cosi sarà invece descritto da Domenico Belfiore, mandante dell’assassinio.
L’ndrangheta al nord ha ucciso solo due magistrati, uno è Scopelliti e l’altro è Bruno Caccia, nove anni prima delle due grandi stragi di mafia, a Torino.
E poi c’è la storia della cascina, la casa dei Belfiore. Nel 1996 arriva il decreto di confisca definitiva. La cascina diventa di proprietà del comune di San Sebastiano da Po ma lo sgombero della casa avviene solo nel 2007.
La casa, totalmente rovinata dai proprietari precedenti, viene riassegnata dopo undici anni all’associazione ACMOS che si occupa di educazione.
Oggi a Cascina Caccia si producono miele e nocciole, si tiene viva la memoria di Bruno e si fa educazione coinvolgendo le scuole di tutto il nord Italia e ospita i campi di Estate Liberi.
Cooperativa Esperanto
La cooperativa nasce su un bene di 10 ettari di terreno, in un piccolo comune vicino a Castel Volturno. Il bene apparteneva al boss del clan locale Michele Zagaria ed è dedicato alla memoria di Michele Landa.
Anche la cooperativa Esperanto nasce da storie di vita, dalla volontà di riscatto e ha radici profonde radicate sul territorio. La cooperativa nasce dalla volontà di cambiare la situazione su un territorio difficile in cui la criminalità organizzata si intreccia a storie di vittime senza volto. Si è deciso di partire dalla terra, iniziando a coltivare un piccolo appezzamento a pomodori. Nel 2017 la cooperativa decide di partecipare al bando per l’assegnazione del bene confiscato di 10 ettari, che poi verrà dedicato a Michele Landa. “Angelina, figlia di Michele, era felice che un pezzo di terra e una casa poteva diventare un luogo di memoria e impegno in ricordo del padre”.
La storia del bene si intreccia anche questa volta con la storia di persone normali ma che hanno deciso di fare la differenza. Chiara ci ha raccontato la sua storia, la storia di Michele, un piccolo imprenditore che lavorava di notte come metronotte e che poi al mattino presto si recava nei campi. Coltivava principalmente grano. La notte del 6 settembre però non torna più a casa, non torna più dai suoi campi e dalla sua famiglia.
La cooperativa Esperanto nasce nel 2018, tra le tante difficoltà, è riuscita a mettere a coltura i 10 ettari di terreno, dove principalmente sono coltivati pomodori, altri piccoli ortaggi e grano. La cooperativa si propone come alternativa allo sfruttamento nei campi da parte dei caporali e ha deciso di essere presente sul territorio mettendo radici profonde in un terra che racconta storie, da quella di Michele a quella di Jerry Masslo e di tutti quei ragazzi che hanno perso la vita in queste campagne sotto al sole cocente a raccogliere pomodori.
“Noi da questo vogliamo dare un segno di riscatto. Un bene confiscato al centro di un paese, in una periferia, ovunque esso sia deve essere una risposta alla collettività. Deve dare spazi di aggregazione o di lavoro. Un bene come questo deve essere un’alternativa, togliere forza lavoro alla criminalità” questa è la missione della cooperativa Esperanto.
E poi ci sono le storie di Chiara e Fabio, che ci credono e che vedono nei beni confiscati la voglia di cambiare una parte del nostro Paese, convinti che a piccoli passi e tutti insieme un mondo diverso è possibile.
di Elisa Rossanino